Articoli di Giovanni Papini

1955


in "Schegge":
Pietà per i pipistrelli

Pubblicato su: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 20, p. 3
Data: 23 gennaio 1955




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   Gli uomini non hanno di solito molta pietà per i loro cosiddetti fratelli, ma ne hanno ancor meno per gli animali. Possono tutt'al più mostrare qualche moto di compassione per una brenna sfiancata, per un ronzino scheletrito, per un somaro pieno di guidaleschi, per un cane spelacchiato e cimurroso, per un gatto cieco e cancrenoso, ma si tratta, come si vede, di bestie che agli uomini servono di aiuto o diletto o compagnia.
   Ma chi ha pietà di tutti gli altri animali, quasi tutti condannati a una vita difficile e miserevole, oscura e pericolosa, sudicia e inutile e che tanto spesso hanno l'aspetto orrido o ripugnante? Dinanzi a loro l'uomo ha ribrezzo o paura, schifo o sospetto, indifferenza o curiosità ma neppure una volta misericordia o tenerezza.
   Penso, ad esempio, agli infelicissimi pipistrelli con i loro musi mostruosi e talvolta quasi diabolici, con i loro orecchi madornali, con le loro membrane viscide. Hanno la vista corta e il pelo di colore triste: non vivono quasi mai alla luce del sole e passano le giornate, a volte intere stagioni, appesi con la testa in giù negli antri e nelle spelonche, come malfattori impiccati per i piedi e caduti in torpore. Escono soltanto all'avvicinarsi della notte per volare alla cieca alla ricerca di prede ahimali minime o grosse.
   Eppure questi odiosi chirotteri, nemici del sole, inquietanti e deformi, assolutamente sforniti di bellezza, di grazia, di gioia, destinati a passare una gran parte della vita nell'assopimento, nel buio e nel fetore, sono dei mammiferi come noi, anzi, secondo Linneo, appartengono all'ordine dei Primati, cioè sono nostri congiunti e familiari. Noi invece li immaginiamo come famuli delle streghe e delle fattucchiere, come ospiti di malaugurio delle torri in rovina e delle caverne insozzate dal loro sterco, come ingordi succiatori di sangue umano nelle selve tropicali. Da piccoli e da grandi non li possiamo soffrire; il solo vederli ci disgusta o ci spaventa; tutt'al più ci divertiamo, nelle sere d'estate, a farli cadere in terra tramortiti a colpi di pertica. E' certo che non possiamo avere per questi sventurati esemplari della fauna terrestre un vero e proprio affetto, nonostante la parentela, ma potremmo e dovremmo avere una tal quale commiserazione pensando al lugubre, immondo genere di vita a cui sono destinate queste infelici pendule vittime della misteriosa natura.


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